La morte è il lavoro. “Mickey 17”, Bong Joon-ho (2025)

Una satira scontata sul capitalismo tecnologico ma con grandi momenti visivi
Robert Pattinson con casco e tuta spaziale in una scena di "Mickey 17" di Bong Joon-ho (2025)

Mickey 17 di Bong Joon-ho prende alla lettera l’adagio di Jean Cocteau secondo cui il cinema è la morte al lavoro sugli attori. Il film è ambientato in un futuro non troppo remoto. Per sfuggire a uno spietato strozzino, lo sfigato Mickey Barnes aderisce a un programma di colonizzazione spaziale ideato dal fanatico senatore Kenneth Marshall. Mickey si candida come “expendable”, “sacrificabile”. Finisce impiegato in una serie di missioni suicide, al termine delle quali viene “ristampato” grazie a una tecnologia che consente di ottenere cloni perfetti ma dotati di memoria. La routine mortuaria procede senza intoppi, finché un guaio accade su Nephilim. Nel tentativo di catturare uno dei grossi invertebrati che costituiscono la fauna tipica del pianeta, il diciassettesimo Mickey precipita in un crepaccio ghiacciato. Ha una gamba rotta, sembra stia per diventare cibo per vermi, ma, sorpresa, gli “striscianti” lo salvano. Tornato a bordo della navetta spaziale, scopre con spavento che gli scienziati hanno già generato un suo clone. Si tratta di un “multiplo”, e i multipli sono vietati. Per di più, mentre Mickey 17 è dolce e remissivo, Mickey 18 è asociale e violento.

Da qui, come nei precedenti film di Bong (Snowpiercer, Parasite), si accende la miccia del conflitto di classe. Barnes è l’ultimo anello di una catena sociale al vertice della quale sta il senatore Marshall, che Mark Ruffalo interpreta scimmiottando Donald Trump – un Donald Trump dai connotati mussoliniani, per intenderci. Il senatore vive con la moglie in una lussuosa dependance dell’astronave. È un uomo ottuso e sadico, e per di più ossessionato dalla propria immagine di condottiero. Il suo sogno di colonizzare Nephilim nasconde un programma eugenetico, finanziato da un’organizzazione di fanatici religiosi. Il tentativo di Mickey 18 di eliminarlo fallisce. In compenso, l’uccisione di un cucciolo di strisciante provoca l’adunata minacciosa di una colonia di migliaia di creature sotto l’astronave. Marshall affida ai due Mickey il compito di ucciderne quanti più possibile: il vincitore della sfida sopravviverà, l’altro sarà soppresso, e così il resto degli striscianti. I due Mickey riusciranno a sventare il piano con il supporto delle coraggiose Nasha e Kai.

Tratto dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton (edito in Italia da Fanucci), il film è una satira del tecno-autoritarismo. Lo schema è quello tipico di Bong: un ordine più o meno perfetto, spacciato per necessario, viene sconvolto da una germinazione interna, la rivolta che come un parassita porta al collasso le strutture istituzionali. Ma Mickey 17 è politicamente più ingenuo di Snowpiercer e Parasite, risolve tutto in un happy ending scontato e decisamente in linea con la sensibilità odierna. Il senatore Marshall esplode in mille pezzi con Mickey 18, l’odiosa moglie è internata. Mickey 17 sopravvive, la fidanzata Nasha diventa capo della colonia e distrugge la stampante biologica che genera i sacrificabili. Kai, che ha perduto in missione la compagna Jennifer, ritrova l’amore.

Pacifismo, integrazione, parità tra i sessi, fluidità di genere: ce n’è abbastanza per far inorridire i fascisti di ritorno e i conservatori più retrivi. La morale del film, però, è riformista, non rivoluzionaria. L’ordine sociale non viene azzerato e ricreato su basi radicali, ma corretto alla luce di un cambio di paradigma culturale. Bong pone le domande giuste, ma le risposte sono terribilmente deludenti, finiscono diluite nello spettacolone hollywoodiano in cui il film si trasforma nella seconda parte, come uno Star Wars qualunque. Peccato, perché la figura del revenant Mickey sembra condurre al parossismo il concetto marxiano di alienazione. Nel film di Bong la reificazione operata dal capitalismo è totale. L’ecosistema della Terra è distrutto, l’uomo stesso è destinato ad essere soppiantato, trasformato in un oggetto. I ricordi vengono scaricati su un hard disk esterno e il corpo rigenerato a partire da una melma di composti organici di scarto da un macchinario che riproduce l’andamento singhiozzante di una stampante a getto d’inchiostro. Nella resurrezione di Mickey non c’è nulla di messianico. Interpretato con intensità e misura da Robert Pattinson, Barnes è il prototipo dello sfruttato capitalistico, un lavoratore ingenuo e arrendevole, atomizzato, del tutto privo di coscienza politica. Viene adoperato come cavia umana per studiare gli effetti delle radiazioni spaziali, per testare l’efficacia di un gas nervino, per produrre un antidoto al virus letale che infesta l’atmosfera di Nephilim. Soffre, ma non contesta, è rassegnato. In una scena, la sua mano tagliata volteggia nello spazio, tra l’indifferenza dei membri dell’equipaggio. La sua parabola grottesca riproduce le condizioni di milioni di lavoratori in tutto il mondo, ma Bong non si mostra troppo interessato ad approfondire la questione. Nel finale di Fight club, David Fincher faceva esplodere i palazzi simbolo dell’iniquità e del privilegio; Mickey, come in una pubblicità del Dixan, si accontenta di guardare con orgoglio la compagna di colore scalare le gerarchie di un potere le cui contraddizioni rimangono, nella sostanza, intatte.

Il massimo dello sdegno di cui il film è capace è un’invettiva volgare della stessa Nasha contro Marshall. La sottigliezza non è il talento principale del Bong sceneggiatore. Il villain interpretato da Ruffalo è un pomposo idiota la cui vena caricaturale tra il Saturday Night Live e Fascisti su Marte minaccia di far deragliare il film nella farsa. È irritante, più che odioso, per questo la sua roboante eliminazione non produce un reale effetto catartico. La moglie Ylfa (Toni Collette) è una desperate housewife ossessionata da ogni sorta di intrugli serviti come salse. Ugualmente stereotipati e funzionali all’affresco spettacolare sono gli altri personaggi. La riflessione esistenzialistica sul tema della vita nell’epoca della sua riproducibilità tecnica è liquidata in un paio di battute.

Inconsistente sul piano politico-filosofico, prevedibile su quello narrativo, il film sfoggia alcuni momenti visivi notevoli, contraddistinti dall’inconfondibile tocco poetico di Bong. Soprattutto nella prima parte, malgrado il voiceover e l’uso ripetuto di flashback, la regia scorre con la precisione di una partitura musicale. La scenografia di Fiona Crombie ribalta l’assunto (fatto proprio anche da Parasite) secondo cui il minimalismo è la cifra stilistica propria della ricchezza. Sull’astronave, gli operai vivono in ambienti grigi, scarni e geometrici, mentre Marshall e la moglie sono circondati da suppellettili barocche e coloratissime. Il prezioso tappeto persiano su cui Mikey quasi vomita è il segno di una posizione sociale radicata nel tempo, di un legame con la storia, con la tradizione, che i sottoposti, stritolati dalla forza deterritorializzante del capitalismo tecnologico, non posseggono. Quello dei Marshall è un potere fintamente democratico, in realtà “assoluto” e brutale, che il direttore della fotografia Darius Khondji scolpisce con stile iperrealistico. Altrove prevalgono luci diegetiche e toni desaturati, ma con texture ugualmente grezze, capaci di rendere con efficacia la sporcizia morale dell’universo di Bong Joon-ho, un ecosistema sociale in cui la legge fondamentale è l’istinto di sopraffazione dell’uomo sull’uomo.

La locandina di "Mickey 17", il film di Bong Joon-ho (2025)

Mickey 17

Lingua originale: inglese

Paese di produzione: Stati Uniti d’America, Regno Unito

Anno: 2025

Durata: 137 min

Rapporto: 1,85:1

Genere: avventura, fantascienza, commedia, drammatico

Regia: Bong Joon-ho

Soggetto: dal romanzo Mickey7 di Edward Ashton

Sceneggiatura: Bong Joon-ho

Produttore: Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Bong Joon-ho, Dooho Choi

Produttore esecutivo: Brad Pitt, Jesse Ehrman, Peter Dodd, Marianne Jenkins

Casa di produzione: Warner Bros. Pictures, Plan B Entertainment, Offscreen, Kate Street Picture Company

Distribuzione in italiano: Warner Bros. Entertainment Italia

Fotografia: Darius Khondji

Montaggio: Yang Jin-mo

Effetti speciali: Dann Glass

Musiche: Jung Jae-il

Scenografia: Fiona Crombie

Costumi: Catherine George

Interpreti: Robert Pattinson, Naomi Ackie, Steven Yeun, Toni Collette, Mark Ruffalo, Holliday Grainger, Michael Monroe