Rudolf Borchardt, “L’amante indegno”. Storia di un contagio

Un dipinto di Max Beckmann, copertina dell'edizione Adelphi de "L'amante indegno" di Rudolf Borchard

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Aveva ragione Citati: L’amante indegno di Rudolf Borchardt è la storia di un contagio. Occorre però precisare la dinamica: l’inoculazione di un agente moralmente patogeno in un corpo già fatalmente indebolito. Prologo: il capitano Konstantin von Schenius ha sedotto Steffi, rampolla del casato germanico dei Luttring-Altmannstetten, causandone il divorzio dall’incapace sprecone barone von Klingen. Il bellimbusto, per gli amici Kono, brama introdursi nella famiglia come nuovo sposo. Il romanzo apre riassumendo il fattaccio in poche righe con la densità, l’eleganza, la musicalità della prosa di Borchardt, un antimoderno conservatore rivoluzionario (vedi von Hofmannsthal) dotato di erudizione, spirito sociologico e finezza psicologica (alla faccia dei romanzi francesi liquidati con male parole). 

Il terreno delle relazioni amorose è il prescelto da Borchardt per osservare un momento storico-politico preciso, la Germania post-Guerra mondiale – la prima, che allora non si chiamava tale perché nessuno poteva immaginare che la carneficina spaventosa appena consumata potesse replicarsi. Crisi, diceva Gramsci, è quando «il vecchio muore e non il nuovo non può nascere», e da questo turbolento, slegato giro di valzer nascono «fenomeni morbosi». La casata dei Luttring, con il suo indispensabile corredo di onore, dignità, buone maniere, tradizioni e patrimonio originato dall’azienda agricola gestita scientificamente dal degnissimo Moritz, «una di quelle persone che, quando appaiono in pubblico, ottengono che gli sconosciuti si voltino involontariamente a guardarle e i conoscenti, altrettanto involontariamente, s’illuminino in viso», non regge l’onda d’urto di Schenius, avventuriero, bugiardo patologico, parvenue in fin dei conti patetico, seduttore incallito. La diagnosi è chiara, formulata senza tentennamenti. Ospite nella tenuta di famiglia per trattare le condizioni dell’ipotetica unione con Steffi, i Luttring hanno modo di prendergli senza fallo le misure. Moritz è spietato: «Il classico fannullone, esempio paradigmatico di mannequin, nobiltà da quattro soldi dentro e fuori, probabilmente incapace di provare dolore o senso del dovere. Non conosce altro che nonchalance, divertimento, tornaconto e fortuna.» Schenius è un figurante disoccupato dei grandi teatri ormai chiusi, la corona e l’esercito. Ce ne sono tanti come lui in giro, nota Moritz, alla cui indubbia acutezza, però, sfugge il crescente turbamento della moglie Tina. Borchardt la descrive in apertura di romanzo come una donna «dotata in egual misura di bellezza, intelligenza, bontà», ligia al dovere, innamorata del marito, premurosa con i tre figlioletti, eppure, scopriremo presto, percorsa da un fiume carsico di desiderio, una pulsione inevasa che Moritz chiama l’“attrazione nel fango”. Arriverà a capire, il barone, quando sarà troppo tardi, quando il tradimento di Tina con Schenius si sarà consumato nel più squallido e prevedibile dei modi, e la catastrofe sarà inevitabile.

In una certa misura, L’amante indegno è un romanzo di spettri. Spettri del ventesimo secolo, di quelli che Arthur Conan-Doyle credeva si potessero fotografare. Il «banale snapshot» di Schenius, servito al tavolo della riunione famigliare a inizio romanzo dalla fatua Steffi, scuote incomprensibilmente la saggia Tina. «Vorrei che non avesse mai attraversato la nostra strada», dice. Scopriremo alla fine che lo scatto rievoca nella baronessa una vecchia, ardente passione per un giovane francese «seducente e senza valore» il cui fascino l’aveva convinta, anni addietro, a respingere la prima proposta di matrimonio di Moritz. La somiglianza con Schenius, spiega Borchardt, non è assoluta, ma la mediocrità non ha peculiari tratti distintivi, si confonde facilmente. Nell’archetipico Schenius rivive il ricordo di un altro dolore, un vecchio amico del barone, Eberhard Holnberg, anche lui sventato, donnaiolo, e soprattutto traditore della patria, la cui unica fotografia casualmente rinvenuta tempo addietro, ex post a mo’ di oscuro presagio, Moritz aveva consegnato alle fiamme. 

La caduta dei Luttring è una discesa senza attrito, precipitosa e inevitabile. Forze sociali e naturali (psicologiche inconsce) complottano per archiviare un mondo ormai al collasso. Il disgregarsi delle forme intime della convivenza sociale sotto il peso dei valori borghesi e delle nuove conquiste civili anticipa il trapasso di un’epoca a cui neppure l’etica ferrea di Moritz, con il suo culto del sacrificio, dell’onore, degli ideali militareschi, persino della sofferenza, può opporsi. Quando il rigore del barone si esercita, l’effetto è tutt’altro che risolutivo. La decisione di licenziare l’amministratore della tenuta, tradito e svillaneggiato dalla moglie, conduce l’uomo al suicidio. La triste parabola di Müschler, uomo un tempo energico, temuto da tutti, che «sapeva usare il bastone e si assumeva la responsabilità degli eventuali cocci», oggi indebolito e fatto oggetto di denunce e scherno, è tipica di una generazione «senza speranza», dice Moritz (Sesso senza speranza è il titolo della raccolta in cui per la prima volta il romanzo fu pubblicato). «Non sappiamo più dire di no. Il risultato finale non è affatto il diritto contrapposto all’ingiustizia, bensì la negazione di entrambi, diritto e ingiustizia: l’arbitrio». 

In quest’epoca priva di certezze, irresoluta e fiacca, anche gli Schenius risultano deboli e sperduti sotto quel po’ di luccichio e di sfrontatezza che sanno esibire. Malgrado le strategie di contenimento, peraltro dettate più da oscuri presentimenti che dalla reale comprensione della portata del pericolo, la fragile forma dei Luttring collassa sotto il peso delle contraddizioni, delle ipocrisie, delle debolezze ormai insostenibili. Catalizzatore e non causa ultima della tragedia famigliare che nel giro di poche ore culmina con la fuga e il suicidio di Tina, Schenius non è l’uomo nuovo, ma un residuo indigeribile di passato, una contraddittoria mistura argillosa, malleabile, che funge, suo malgrado, da spiacevole raccordo tra l’ordine imperiale della vecchia aristocrazia terriera, cui lo shock Grande Guerra ha inferto un colpo mortale, e il presente faticosamente democratico, dominato dagli intrallazzi, dalla corruzione e dell’inflazione, della repubblica di Weimar. 

Saranno proprio lo smottamento delle antiche istituzioni e la mancanza di alternative credibili a gettare la Germania, dì lì a poco, nel baratro del Terzo Reich. Ai nazisti, l’ebreo Borchardt scampò per anni grazie alla protezione del Duce, ammirato in spregio alle leggi razziali. Nel ’44, però, le SS arrestarono lo scrittore in Italia, dove risiedeva assieme alla moglie. Narra la leggenda che una guardia tedesca rimase così impressionata dall’eloquenza di Borchardt che gli permise di oltrepassare il confine con l’Austria. L’autore de L’amante indegno chiuse i conti con l’esistenza terrena il 15 gennaio del 1945. Il più tempestivo degli infarti gli risparmiò una nuova era di egualitarismo e capitalismo rampante che certamente, da vecchio arnese prussiano, avrebbe disprezzato.

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