Inganno

Iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti, autorizzi il trattamento dei dati personali secondo quanto stabilito nella privacy policy

Un grande paese ostaggio di un pazzoide e della sua strampalata gang. Gli USA di Trump somigliano a una distopia, il luogo del caos e della psicosi piuttosto che la patria del “law and order” di cui pure il Presidente, negli ultimi tempi, si è riempito la bocca. Con punte di grottesco, ma guai a ridurre il personaggio a una macchietta. Trump è un uomo pericoloso, senza freni perché il suo ego non ne conosce. Degli Stati Uniti gli importa nella misura in cui rimangano il luogo in cui inverare la narrazione del vincente, il ricco uomo d’affari che ascende alla presidenza per conto del Popolo, stracciando i “corrotti” Dems. Ora che l’ambiente sta diventando ostile, ecco il lanciafiamme. Un commentatore, su Twitter, l’ha sintetizzata in questo modo: Trump distruggerebbe il paese piuttosto che ammettere di aver perduto le elezioni. Aveva provato a metterci in guardia la Clinton nel 2016: «Quando Donald crede che le cose non vadano nella sua direzione, afferma che qualunque cosa sia truccata». È “hoax”, la frode, l’inganno, come da titolo dell’ultimo libro di Brian Stelter. La sua lettura può guidarci nella comprensione di quanto sta accadendo in queste ore, lo spettacolo triste di un Presidente ignorante, razzista, misogino, unfit sotto tutti i profili, che dinanzi alla vittoria di Biden strepita come un bimbo a cui abbiano tolto il giocattolo, rischiando di mettere a ferro e fuoco il paese.

Stelter è un commentatore politico di CNN, conduttore del programma Reliable Sources, “fonti affidabili”, in cui fa le pulci al sistema mediatico americano. Inganno, come recita il sottotitolo, è dedicato a Donald Trump, Fox News e la pericolosa distorsione della realtà. L’emittente, fondata nel 1996 dal miliardario australiano Rupert Murdoch con l’aiuto, in qualità di CEO, di Roger Ailes, da voce parziale ma rispettabile del conservatorismo americano si è trasformata nella camera dell’eco delle bugie del Presidente. Conduttori di grande successo come Sean Hannity, Laura Ingraham, Tucker Carlson sono indistinguibili da propagandisti di bassa lega. I loro show raschiano il fondo del barile social: complottismo, bugie, razzismo. Il rapporto esclusivo tra Trump e Fox News è di mutuo giovamento: The Donald ha a disposizione una formidabile macchina di propaganda, oltreché una “safe zone” in cui propalare i suoi alternative facts senza il rischio dell’umiliazione. Fox fa audience grazie a interviste esclusive e informazioni passate dal Presidente. Inoltre, ha il potere, enorme, di dettare l’agenda di Trump. Stelter sottolinea come molto spesso Trump sollevi questioni, usi argomentazioni ed espressioni prese pari pari da trasmissioni come Fox and Friends, uno degli appuntamenti più popolari della rete. Hannity, inoltre, è considerato il capo dello shadow cabinet del Presidente, uno dei suoi più fidati e ascoltati consiglieri.

È una vicenda insieme triste e inquietante. La sistematica distorsione della realtà di cui il Presidente si è reso responsabile, in questi anni, ha un impatto enorme sulla società USA. Fox News è il primo canale d’informazione via cavo per ascolti. «È come se un terzo del pubblico americano fosse stato strappato dal resto dell’elettorato e isolato in un sistema informativo privato», afferma Jay Rosen, scrittore e professore di giornalismo alla New York University, intervistato da Stelter. «Non c’è soltanto il fatto che questo pubblico sia più incline a credere al presidente rispetto ad altri, ma anche che la Casa Bianca e lo stesso Trump stiano tentando di estirpare il concetto stesso di un documento pubblico o di una fonte o di un fatto indipendente su cui il paese può essere d’accordo oppure no». Il dibattito pubblico è minacciato. Non la sua qualità, ma la possibilità stessa che possa svolgersi: se non si è d’accordo sui fondamentali, la grammatica della vita comune, il buon vecchio “due più due fa quattro”, non è possibile alcun dialogo. Non si tratta di nutrire o meno un sano scetticismo nei confronti dei media, ma «di un sistema di informazione autoritario che si sta imponendo in un paese da sempre noto per avere la stampa più libera del mondo». La land of the free che partorisce un aspirante autocrate, un paradosso sul quale, subito dopo la sua elezione, mi ero interrogato.

Il libro di Hannity è la documentata e avvincente ricostruzione di un ambiente tossico. Qualche anno fa, Roger Ailes fu accusato di molestie sessuali da giornaliste, conduttrici e collaboratrici (da cui il film Bombshell – La voce dello scandalo). Lasciò la guida dell’azienda nel 2016 e morì un anno dopo. Bill O’Reilly, la superstar del network prima di Hannity, fu allontanato dopo che il New York Times rivelò che lui o l’azienda avevano versato oltre 13 milioni di dollari per risarcire cinque donne che avevano accusato il popolare host di molestie sessuali. Non c’è solo questo. Il rapporto eticamente discutibile tra un’emittente tv che ha “fair and balanced”, “equa ed equilibrata”, come motto, e il Presidente ha causato negli anni l’uscita volontaria o l’allontanamento di molti giornalisti, conduttori, opinionisti. Così il reporter Carl Cameron: «La gente veniva da me e ripeteva a pappagallo con un sacco di eccitazione qualche falsità sentita al mattino su Fox and Friends, e io avrei dovuto dire: ‘No, questo non è vero’». All’apice del disgusto, nel 2017, Cameron lasciò Fox.

La redazione news dell’emittente si è parecchio indebolita, non così la sezione opinions. Hannity, Ingraham, Carlson e altri macinano ascolti su ascolti, in una sistematica e sfiancante rincorsa al peggio della destra americana. Strapagati, viziatissimi, sono i principali esponenti di quella «politica identitaria bianca» che pervade tutta Fox. Una delle chiavi per comprendere l’ascesa del trumpismo, oltre alle iniquità della globalizzazione, è la paura del maschio bianco dinanzi alle trasformazioni demografiche e culturali in corso nel paese. L’immigrazione è uno dei bersagli preferiti dell’emittente. Le argomentazioni sono le stesse propalate dai sovranisti nostrani: sostituzione etnica, minaccia alla civiltà occidentale, invasione. Il trucco è soffiare sul fuoco, drammatizzare: qualche migliaio di migranti diventa «un’orda che ci sta invadendo». Ciliegina sulla torta, l’avversario politico è dipinto come il Male assoluto.

Anche qui, per noi italiani niente di nuovo: ricordate Berlusconi e i «comunisti» latori di «miseria, distruzione, morte»? E anche la storia dei brogli elettorali, il copyright è di quel grande precursore del neopopulismo che fu l’ex Cavaliere: li denunciò dopo aver perso le elezioni del 2006, dicendo chiaro e tondo che il risultato elettorale doveva «cambiare». Rispetto a Salvini, Berlusconi pare oggi un padre della patria, ma a suo tempo rappresentò un concreto pericolo per la tenuta democratica del paese. Informarsi ed esercitare la memoria serve anche a questo, a non farsi ingannare dai chili di cerone con cui certi farabutti appianano le rughe dell’amoralità sui loro volti. È una battaglia sfiancante e, forse, senza ricompensa finale. Gli opportunisti, gli approfittatori, gli uomini che «vogliono solo veder bruciare il mondo» ci saranno sempre, e così quelli pronti a seguirli. Per reale convinzione, debolezza, calcolo, vallo a sapere.

Ma questa è un’altra storia. Oggi, 6 novembre 2020, un Presidente bullo, falso come la sua pettinatura, minaccia di sovvertire l’ordine costituito per capriccio, vanità. Il consenso di cui è ancora forte dimostra come il trumpismo non sia un inciampo della storia, ma l’espressione (esasperata, caricaturizzata) di sentimenti che si agitano nel profondo della coscienza nazionale americana. Biden, futuro presidente, ha dinanzi a sé un compito improbo: riportare la calma, normalizzare. Trump, dal canto suo, continuerà a fare quel che ha sempre fatto, cercare disperatamente di accreditare di sé l’immagine del vincente, costi quel che costi. Prepariamoci, ci aspettano tempi interessanti.

Iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti, autorizzi il trattamento dei dati personali secondo quanto stabilito nella privacy policy