Il Noumeno

Adolfo Bioy Casares ritratto da Sara Facio

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A nessuno tocca in sorte il privilegio di scegliere che vita vivere. Ma se così un giorno potesse essere, io vorrei rinascere racconto di Adolfo Bioy Casares. Possederei tutte le qualità che un uomo può desiderare: bellezza, intelligenza, ironia, una certa raffinata ambiguità, intesa come stratificazione d’intenzioni, sentimenti, ambizioni, dunque la complessità, offerta all’altrui ammirazione in forme tutt’altro che retoriche o ampollose. Questo pensiero mi ha colpito mentre rileggevo la bella raccolta Un viaggio inatteso, edita da EST. Di Bioy Casares, grande scrittore argentino, amico e sodale di Borges, con cui compilò meravigliose antologie di racconti polizieschi e fantastici e scrisse a quattro mani libri di lapidaria arguzia, ho già parlato su questo blog. L’occasione era la recensione de L’invenzione di Morel, capolavoro di fantascienza su un macchinario in grado di registrare le tracce della nostra terrena presenza per eternarla in forma di simulacro spettrale, cinema della ripetizione sul set di una sperduta isola in cui il narratore-naufrago si rifugia da misteriosi inseguitori della madrepatria.

Bioy Casares ha scritto altri romanzi meravigliosi (Dormire al sole e L’avventura di un fotografo a La Plata, ristampati come il Morel da Sur, o Piano d’evasione, edito da Cavallo di Ferro), dominati da un’inquietudine onirica, da un senso d’irrealtà così meravigliosamente latinoamericano. Anche nei racconti Bioy Casares ha raggiunto vette notevoli. E se l’antologia più nota nel nostro paese è Un leone nel parco di Palermo (Einaudi), Un viaggio inatteso non è da meno quanto a esemplarità.

Dei quattro racconti qui presentati, il più affascinante è certamente il primo, Il Noumeno. Sullo sfondo di una Buenos Aires paralizzata dallo sciopero del trasporto pubblico, durante quella che passerà alla storia come la Semana Trágica, una comitiva di amici va in visita al Parco Giapponese, desiderosa di ammirare l’ultima attrazione, il Noumeno. A chi mastica di filosofia, il termine non è sconosciuto. Fu introdotto da Platone e ripreso da Kant, per il quale il noumeno indicava l’essenza della realtà in sé, pensabile ma inconoscibile e contrapposta al fenomeno, di cui costituiva il fondamento. Nel racconto di Bioy Casares diventa un macchinario, ideato dal vecchio M. Cánter (chiaro riferimento al filosofo tedesco), il che ci riporta ovviamente a Morel e alla sua invenzione, metafora della “settima arte”. L’autore non descrive il marchingegno nel dettaglio, allude a un proiettore, una sala di cinematografo, una sedia e un registratore di cassa o pulsantiera. La sua funzione sembra quella di svelare allo spettatore una qualche profonda verità su di sé. Amenabar, il più intelligente e colto della comitiva, è secco: «E’ un gioco, un simulacro ingegnoso. Una novità abbastanza vecchia: la macchina del pensiero di Ramón Lull, aggiornata». Ramón Lull, filosofo, teologo, mistico e missionario catalano, “doctor illuminatus”, ideatore di una logica universale che sfruttava il metodo combinatorio per dimostrare la verità (Ars magna). L’influenza di Lull sul pensiero e l’arte occidentali è molto ampia: dagli alchimisti del ‘400 a Leibniz, Dalì, Queneau, Calvino, Schönberg, Cage, fino alla fisica contemporanea. Della “macchina del pensiero” di cui parla Amenabar ne scrisse Borges in un articolo per il magazine El Holgar del 1937: si basa su «uno schema o diagramma degli attributi di Dio» ed è costituita «da tre dischi concentrici, rotanti manualmente, in legno o metallo». A Borges non interessavano le circostanze o gli obiettivi che avevano portato all’invenzione della macchina, ma il suo principio guida: «l’applicazione metodica del caso alla risoluzione di un problema».

Ma sto divagando. Non è necessario sapere tutto questo per apprezzare il racconto di Bioy Casares, per lasciarsi trascinare con sempre maggiore inquietudine verso il sorprendente epilogo. Rifugiatosi in campagna, il narratore, Arturo, apprende con sgomento la morte di uno dei suoi compagni di gita. Non sa chi l’abbia chiamato, né chi si sia morto per «un colpo di pistola», le linee telefoniche sono disturbate. Potrebbe essere, l’informatrice o addirittura la vittima, l’adorata Carlotta, la ragazza che l’ha lasciato per l’amico Salcedo? Il finale scioglie il mistero in poche righe, ma è una risoluzione solo apparente, una risposta che lascia aperti altri interrogativi. Il suicida è Amenábar, «il solo tra noi che non si permetteva incoerenze». Non sappiamo quale sia il responso che il Noumeno ha dato all’ex studente di trigonometria («io non ho responsi neanche per il Noumeno»), ma la sua verità fondamentale, l’imperfezione umana, la contraddittorietà della nostra condizione, l’hanno annichilito. Amenábar è forse il tipo del perfezionista che non accetta cedimenti della razionalità alla poesia del caso.

Il tono degli altri racconti (Trio, Un viaggio inatteso, La via delle Indie) è più leggero, a tratti persino umoristico, ma sempre pervaso da una malinconia sentimentale, da una vaga inquietudine, da un sottile alone di mistero. I protagonisti delle opere di Bioy Casares vagano smarriti in un mondo che ha perduto le sue coordinate. Sono naufraghi su isole ai confini dell’esistenza e della Storia. “Irrealtà” è la parola. Il fantastico di cui Bioy Casares fu brillante portavoce è quello più nobile, che non si vergogna di sporcarsi le mani con il “basso” della cultura popolare. E se questo vi fa venire in mente il postmodernismo, sappiate che, a dispetto della cronologia lievemente sfasata, non siete in errore. Bioy Casares, come Borges uomo di erudizione e gusto notevoli, fu un anticipatore dei vari Calvino, Eco ecc. Per chi volesse approfondire il tema, consiglio il saggio di Emanuele Leonardi, Il postmoderno nella letteratura argentina, edito da Carocci.

Un viaggio inaspettato è sulla mia scrivania da tempo. Lo tengo lì, non me ne separo, come accade con le cose preziose. Si ha paura di perderle, di distrarsi e non trovarle più. Nel caso specifico, parliamo di un libricino piccolo, ma quanto denso! Viviamo in un’epoca in cui la semplicità è spesso degradata a idiozia, vacuità, intrattenimento dozzinale. L’argentino è uno di quegli autori che mostra cosa sia possibile fare con una lingua essenziale ma affilata. Sì, nella prossima vita voglio essere un racconto di Bioy Casares, e planare leggero sulle miserie, le imperfezioni, le meravigliose contraddizioni della condizione umana.

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